titolo del libro : "MARTA D'ELICONA"

genere: narrativa

autore: Melo Freni

editore: Sellerio  

prezzo: £ 25.000

 

 

“MARTA D’ELICONA” DI MELO FRENI

UN VIAGGIO NELLE TRADIZIONI E NELL’ANIMA DELLA SICILIA

  Melo Freni è un uomo di cultura, notissimo -oltre che per l'indiscutibile qualità delle sue opere- anche per la notevole varietà di generi e modelli ai quali ha affidato, nel corso del suo articolato iter artistico, l’impegnativo compito di rendere ben evidente la “vis creativa” che gli si agita costantemente e tumultuosamente dentro. Si tratta di una sorta di caos, inteso -sia chiaro- come fonte d’energia, che si materializza  cristallizzandosi in soggetti dalle molteplici sfaccettature, ognuna diversa dalle altre eppure tutte riverberanti la medesima origine. Non stupisce -pertanto- il fatto che egli si sia cimentato, con uguale successo,  nella poesia, nella narrativa, nel teatro, nella saggistica, nel giornalismo, nella documentazione, nell’informazione, -in definitiva- in tutto ciò che sia divulgazione di un’articolata progettualità culturale-esistenziale decisamente elevata e di tale spessore da essere in grado di tracciare un percorso netto verso il meritato raggiungimento di traguardi d’assoluto prestigio. Questo è in estrema sintesi Freni “dal multiforme ingegno”, ciononostante è sempre presente un  immutato senso di meraviglia, nella mia frequentazione dei componimenti letterari, quando mi accosto ad ogni sua nuova fatica. La meraviglia -beninteso- della rinnovata scoperta di una freschezza adeguata al mutare del tempo, di un fiorire d’emozioni emergenti rigogliose da un tronco segnato dalle tempeste della vita eppure estremamente saldo, carezzato dal benefico respiro di Eolo, nutrito dai raggi dorati di un sole che non ha eguali. Ed anche per “Marta d’Elicona” (Sellerio Editore) è stato fortemente lo stesso. E’ certo che di rado si possono trovare condensate in un lavoro di narrativa così tante sensazioni e chiavi di lettura. Nel curatissimo volumetto è racchiuso uno scritto fitto di suggestioni che affonda profonde radici nei mistici territori dei miti, candido come una fiaba, appassionante come un romanzo, pregno di saggezza e di antichi valori, lacerato dai tormenti angosciosi dell’animo umano, velato da atmosfere surreali di magia e di mistero, intriso dalla pioggia della Fede. La vicenda di Marta attrae con tenui malie fin dalle prime pagine, rigo dopo rigo, irresistibilmente. Questa pastorella, esile figura dall’incredibile vigore nascosto, felice di vivere nel proprio mondo incontaminato, tra il “cubburu” e i luoghi che orbitano intorno all’oscuro bosco di “Malabotta”, circondata dalle creature amate ma assillata da improvvise ed inspiegabili incertezze interiori, conquista subito il lettore. E’ incolta la pastorella d’Elicona ma raggiungerà comunque una forma di conoscenza, in parte per una predestinazione, una sorta di metempsicosi materna probabilmente indesiderata (perché “può capitare spesso che i morti governino i vivi”), in larga parte perché dai dubbi che dolorosamente si aprono strada nel suo animo puro, nasce il giusto diritto a sapere, a scoprire il senso nascosto delle cose, a ravvicinarsi al vero significato del nostro percorso per i sentieri del mondo. Sentieri che non sono poi dissimili da quelli calpestati dal suo piede leggero e in apparenza spensierato verso le possenti rocche dell’Argimoscu, con il loro arcano richiamo ad una contemplazione dalla veemente carica simbolica. Marta si muove in un contesto di innegabile fascino, un eden primordiale dal quale irradiano sui personaggi e sulle stesse cose barlumi sfolgoranti di divinità. Le piante, le rocce, l’aria, la neve, la pioggia, lungi dal mostrarsi come semplici spettatori, rivelano una magica essenza che li rende compiutamente partecipi ad ogni evento narrato. Gli animali, nel loro comportamento istintivo, interagiscono con gli esseri umani in muti, significativi colloqui fatti di versi e di sguardi. Le genti della montagna, umili e fiere, pettegole ed orgogliose, sono in continua contraddizione ma riccamente dotate di una saggezza nutrita da preziose ritualità e di quella fondamentale “pietas” che nobilita ogni loro gesto, anche quello in apparenza più insignificante. Sullo sfondo immutabile di terre meravigliose e selvagge, dipinte dall’Autore con mirabili tocchi di autentica  poesia, aleggia irrefrenabile il senso della tragedia, la vicissitudine di un sentimento infelice, l’impossibilità data a Marta di amare -chè non è realizzabile la lotta con il Fato e con chi lo governa, anche se cerchi di essere suo servitore- . I “giorni magri della morte” si portano via ogni amore, e non  giova guarire gli altri -per virtù divina o per diabolico potere- se dentro ogni giorno si muore un poco. La madre Giuanna, se ne va lasciando alla figlia, “nel tempo delle costellazioni piene”, il generoso potere taumaturgico delle sue mani “secche e nodose come rami d’autunno, calde e profumate di fatica stagionata”. Il padre Gregoriu, uomo semplice e pratico ma che sovente si sorprende a meditare -nell’ottica di una spontanea filosofia tipica dei popoli mediterranei-, segnato dagli eventi, si trasforma progressivamente in un contemplatore silenzioso che guarda passare il nostalgico fiume dei ricordi e le si aggrappa per trovare qualche motivo per sopravvivere. Il fratello Gaetano, ossessionato dall’innaturale passione vero di lei, è una figura disegnata in modo pressoché perfetto, che esprime compiutamente la sofferenza e l’estenuante lotta che lo squassa dentro per provare a contrapporsi, tra tentazioni e rimorsi, ad un sentimento blasfemo, ad un inferno quotidiano da cui si libererà soltanto quando -tra  i cori innalzati alla Madonna dell’Assunta per esorcizzare gli indemoniati- troverà in un abbraccio disperato l’ultima quiete. E di Marta che ne sarà? Di Marta semplice e complicata, allegra e malinconica, libera e incatenata, santa e strega? Di Marta desiderata e respinta, odiata e benedetta, amata e temuta, carezzata e maltrattata? Quando lo spettro devastante della solitudine le si para innanzi spietato e i germi della follia stanno per innestarsi voraci in ogni sua cellula fino ad invaderne l’anima -perché “l’asprezza del vento aveva prosciugato le ultime fantasie”- , un estremo sortilegio o piuttosto la volontà suprema della bontà divina, donano alla sua eterea essenza la pace nella concretezza incorruttibile della roccia, raccolta in una mistica postura di preghiera, collocata all’esatto confine tra la terra che aveva sempre sentito sua e il cielo cui aveva intimamente  aspirato. “Marta d’Elicona” è la piccola grande saga di un’umile fanciulla, di una famiglia come tante, di una comunità con il suo colorato corredo di varia umanità, ma nello stesso tempo è anche l’esposizione attenta di un’intera epoca, innestata in una Sicilia legata ad un modo di essere e di pensare forse oggi quasi completamente scomparso, oscillante tra i valori fondamentali della tradizione e l’avanzare di un progresso desiderato e temibile nello stesso tempo, e per questo è vieppiù pregevole. La prosa di Freni si dimostra -ancora una volta- agile ed accattivante, sempre sapientemente adeguata. In certi tratti è tangibile un’armoniosa musicalità di fondo che emana dalle pieghe garbate di un apprezzabile lirismo. L’uso -mai eccessivo- di termini dialettali adorna uno stile certamente originale e facilmente riconoscibile. In conclusione, un libro di qualità: emozionante, stimolante, commovente. Da leggere e da rileggere con sottile piacere e convinta partecipazione, anche in quanto narra una storia che potrebbe essere vera, perché -come dice l’Autore- “tra favola e realtà talvolta non c’è differenza”.

Giuseppe Risica 

    

Nella foto: Giuseppe Risica insieme a Melo Freni