Si tratta di un’opera a tecnica
mista: pittura e scultura. La parte pittorica opera di Nino Ingegnere si integra
alla perfezione, nella progettualità globale della raffigurazione, con la parte
scultorea, eseguita da Vittorio Basile. Il soggetto principale è il poeta
siciliano Salvatore Quasimodo (Premio Nobel per la Letteratura nel 1959), colto
in piedi (in segno di rispetto per la "sacralità" del luogo) nell’atto di
leggere un libro tra le rovine dell’antica città greca di Tindari
(...Tindari, mite ti so / tra larghi
colli...) , sotto un albero a lui caro e spesso citato
nelle sue poesie, il pino marittimo (...assorto al vento dei
pini...). Nella voluta semplicità della figura (indicativa di una
chiarezza espressiva e comunicativa che -pur nella ricercatezza complessiva del
linguaggio- il poeta deve avere) spicca lo sguardo intenso, penetrante, quasi a
unire fisicamente gli occhi allo scritto. Egli appare quasi la reincarnazione di
uno di quei "Lirici greci" (da lui mirabilmente tradotti nel 1940) di cui si
riteneva l’ultimo erede, figlio autentico della scomparsa Magna Grecia. Alle sue
spalle il Golfo di Patti, con il suo mare terso e dall’intensa tonalità azzurra
(...sull'acque / dell'isole dolci del dio...), proteso
-come un virtuale abbraccio- a collegare la parte del murale in cui è
raffigurata l’antica città, coi suoi resti maestosi cotti dal sole del Sud, con
quella in cui, tra una fitta vegetazione mediterranea e fichi d’India, dalle
cromie decisamente solari, emerge la splendida terrazza del paese di Sorrentini,
giovane e pieno di vita. E’ evidente il simbolismo dell’opera in cui la natura
unisce passato e presente, corroborata pienamente dal messaggio poetico
quasimodiano, cui è demandato il compito fondamentale di tramandare le preziose
memorie del passato verso le generazioni presenti e -ovviamente- future, tramite
l’immortalità dell'ars poetica. Come a fare risaltare la divisione del murale in
due metà ideali, in posizione più elevata, spicca nettissima una scultura in
pietra arenaria raffigurante la Sicilia, nella quale risalta il cono vulcanico
dell’Etna, fonte inesauribile di energia creativa (...Dal fuoco celeste /
nasce l'isola di Ulisse...). Essa rappresenta il fulcro, mitico e
mistico, attorno al quale tutto ruota e si raffigura, come in un movimento senza
fine. L’isola è delimitata nella parte inferiore da due braccia possenti che si
allargano con le mani aperte, barriere di difesa di tradizioni preziose e -nello
stesso tempo - segno di accoglienza sincera ed elevazione trascendentale. Alla
sommità dell’opera pittorica, in posizione centrale, è collocata un’altra
scultura (in pietra lavica), il volto di un vecchio. Essa rappresenta la
saggezza, nutrita da secoli di pensieri ed esperienze, depositaria dei fertili
semi della conoscenza, indispensabile alla necessaria rigenerazione. In alto a
destra una frase, tratta dalla composizione Isola ( contenuta nella
raccolta Oboe sommerso) : “io non ho che te, cuore della mia
razza”, che sintetizza una tematica fondamentale nella poetica di
Quasimodo, il legame indissolubile, di sangue, alla sua terra ed alle sue genti
.
L’opera, di sicuro valore artistico, assume ancora più consistente
valenza simbolica in quanto doveroso ed umile omaggio ad un grande poeta, figlio
autentico di Trinacria, nel trentesimo anniversario della sua morte (avvenuta
nel 1968), ricorrenza in occasione della quale è stata inaugurata.
1998 - Sorrentini (ME)
Inaugurazione del Murale
dedicato a Quasimodo nel 30° anniversario della morte
nella foto, da destra: Risica, Basile, Ingegnere, A.
Quasimodo (figlio del Poeta), Calabria.
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